Paladine del volo: Amelia Earhart

Novembre 29 08:49 2020


Amelia Earhart nacque io 24 Luglio 1897 in una famiglia benestante di Atchison, nel Kansas, ma trascorse gran parte della sua infanzia e della giovinezza in varie città degli Stati Uniti e del Canada, in seguito alle traversie economiche e personali dei genitori. Suo padre Edwin Earhart era un avvocato, sua madre, Amy Otis era figlia di un noto commercialista di Atchison. L’educazione ricevuta da Amelia da parte della madre, bensì nella casa dei nonni piuttosto severi, non è di quella tradizionale, ma indubbiamente avanti nei tempi e priva di esagerato protezionismo.  Amelia racconterà sempre di aver indossato da giovane i “Bloomers”, un pantalone sportivo, naturalmente inusuale per le ragazze di quel tempo; una prova del suo  temperamento.

Le eroine dell’infanzia di Amelia Earhart non furono quelle della maggior parte delle bambine:nel suo libro Felice di volare ha reso omaggio alle pioniere del volo. In primis, la prima donna nota per aver ottenuto il brevetto di volo, la baronessa Raymone De La Roche..

Per gli Earhart le figlie erano libere di seguire i propri interessi perché non esistevano passatempi “da maschio” o “da femmina”. Amelia dimostrò subito una grande passione per la meccanica e per lo sport, tanto che una delle sue letterine di Natale iniziava con “Caro papà, quest’anno Muriel e io vorremmo due palloni da football. Per favore, ne abbiamo un assoluto bisogno, perché di palle da baseball, mazze, eccetera eccetera ne abbiamo già a bizzeffe”.

 

La svolta

La svolta arrivò per lei il 28 dicembre 1920, nella californiana  Long Beach. Quella mattina l’avvocato Edwin Earhart portò la figlia al Daugherty Airfield di Los Angeles, per un raduno aeronautico. Al prezzo di un dollaro, Amelia salì per la prima volta su un biplano , anche se solo in veste di passeggera. Dopo questa esperienza, alla soglia dei ventitré anni, lasciò gli studi da infermiera per rincorrere un nuovo sogno: conquistare i cieli.«Quando raggiunsi la quota di due o trecento piedi, seppi che dovevo volare». Amelia si diede da fare con vari lavori per raccogliere la somma necessaria alle lezioni di volo che le verranno impartite da Anita Snook, un’altra pioniera dell’aereonautica, e il 15 maggio 1923 divenne la sedicesima donna al mondo  a conseguire il brevetto di pilota. Riuscì anche a permettersi il suo primo aereo, “Il Canarino”, così chiamato per il suo vivace colore giallo limone.

 

La sua carriera di aviatrice

La sua carriera di aviatrice decolla solo nel 1928, un anno dopo la prima trasvolata atlantica in solitaria di Charles Lindbergh: Amelia, con Wilmer Sturz e Louis Gordon, a bordo di un Fokker, fu la prima donna ad attraversare l’Atlantico. In questa trasvolata il suo ruolo era stato secondario, come lei stessa riconobbe: «Wilmer pilotò per quasi tutto il tempo. Io ero solo un bagaglio, venni trasportata come un sacco di patate». L’impresa fece comunque di Amelia un’eroina nazionale, la nuova “Regina dell’aria”. Grazie ai proventi delle conferenze, delle campagne pubblicitarie, dei suoi scritti e dei numerosi incarichi che ebbe in compagnie aeree, Amelia negli anni successivi poté non solo dedicarsi alla sua passione per il volo, anche agonistico, ma anche promuovere l’aviazione, in particolare, le donne aviatrici.

 

 

La vita privata

Nel 1931 sposò George Putnam, scrittore ed editore (aveva pubblicato il libro in cui Lindbergh raccontava la sua trasvolata) e organizzatore delle prime imprese della stessa Amelia.

Grazie alla sua reputazione per aver lavorato con Lindbergh venne contattato da Amy Phipps Guest , una ricca americana che vive a Londra , che voleva sponsorizzare il primo volo in assoluto di una donna attraverso l’ Oceano Atlantico e scelse Amelia Earhart . Dopo aver completato il suo volo attraverso l’Atlantico, Putnam si offrì di aiutare Earhart a scrivere un libro sull’argomento, seguendo la formula che aveva stabilito con Lindbergh nella stesura di “WE” . Il libro Earhart risultante era  “20 ore, 40 minuti” (1928).

Putnam non fu solo il suo più grande sostenitore, ma si innamorò di l ei e le propose di sposarlo per ben cinque volte prima che lei accettasse. Alla fine Amelia acconsentì, a patto di conservare la sua autonomia e il cognome anche dopo le nozze.

 

Il volo sull’atlantico in solitaria

L’anno seguente Amelia riuscì a concretizzare, finalmente, il sogno di essere la prima donna ad attraversare in volo l’Atlantico in solitaria. Il 20 maggio partì da Harbour Grace, a Terranova, ai comandi di un Lockheed Vega e, dopo un volo di quasi quindici ore, atterrò a Culmore, in Irlanda del Nord. L’impresa la consacrò definitivamente come la più nota eroina della fase pionieristica della storia dell’aviazione. Amelia ricevette, tra gli altri riconoscimenti, la Legion d’Onore e la Distiguished Flying Cross dal Congresso degli Stati Uniti.
Dopo aver compiuto altri voli in solitaria – dalle Hawai alla California, da Los Angels a Città del Messico – Amelia Earhart si dedicò alla pianificazione di una nuova grande impresa, la circumnavigazione aerea del globo seguendo la rotta equatoriale, la più lunga. L’aereo prescelto fu un bimotore Lockheed Electra e Fred Noonan avrebbe dovuto accompagnarla come navigatore. Amelia e Fred decollarono da Miami il 1 giugno 1937 facendo rotta verso est. Fecero varie tappe in Sud America, Africa, India e Indocina, arrivando a Lae, in Nuova Guinea, il 29 dello stesso mese. Avevano percorso circa 35000 chilometri e dovevano ora affrontare l’ultimo balzo attraverso l’Oceano Pacifico. Il 2 giugno decollarono da Lae alla volta di Howland Island – a oltre 4000 chilometri – dove avrebbero dovuto fare tappa. Le tracce del Lockheed Electra si persero però circa 1000 chilometri dopo Lae e nonostante una mobilitazione senza precedenti di navi e aerei di soccorso, Amelia e Fred Noonan non vennero mai ritrovati.

 

Le cause e il luogo dell’incidente

Sulle cause e il luogo dell’incidente, sono state avanzate numerose ipotesi, alcune decisamente fantasiose. Si pensò persino che, costretti ad un atterraggio di emergenza, la Earhart e Noonan fossero stati catturati e giustiziati come spie dai Giapponesi, oppure che Amelia avesse fatto volontariamente perdere le proprie tracce, rifacendosi una vita altrove. In realtà la causa del disastro fu con ogni probabilità un guasto meccanico o l’esaurimento imprevisto del carburante per un calcolo di navigazione errato.

Il mistero della tragica scomparsa ha del resto contribuito ad alimentare il mito di Amelia Earthrt, facendone, soprattutto negli Stati Uniti, non solo un’eroina dell’aviazione ma un’icona del femminismo. Su di lei sono stati scritti centinaia di articoli e libri e anche un famoso film “Amelia”.

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Cristina Pagetti
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